lunedì 7 maggio 2012

Ladri di biciclette


Era il 20 giugno del 2011, il mio amico Alan compiva 26 o 27 anni. Un anno prima, per festeggiare, eravamo andati a sentire Devendra Banhart a Villa Ada. Lo ascoltavo per la prima volta e mi chiedevo come avevo fatto fino a quel momento, senza.
In un anno molte cose erano cambiate. Mi ero laureata, e in quel periodo ero una stagista. La routine mi stava stretta, ma per entrarci mi rimpicciolivo. Sognavo di incontrare il mio capo fuori dall'ufficio, somigliava a John Malcovich e mi mostrava il (terzo) mondo dalla stanza di un ministero fatto di fotocopiatrici e pause caffè. Quando finalmente tutto sarebbe finito, avrei goduto del mare. Non di quello di maccarese dei week end, ma di quello pugliese dell'estate.
Quella mattina faceva caldissimo, ed ero bruciata dal sole. Ma il capo, la stanza, la fotocopiatrice, le pause e i caffè impedivano di scoprirsi troppo. Riesumai una gonna lunga e larga verde militare un tempo appartenuta a mia cugina. Era tardi ma la mountain bike che usavo di solito si era giocata le ruote sul lungotevere. A dieci minuti dall'orario di ufficio, osservando il parco bici dell'ingresso non potetti resistere alla tentazione di prenderla: lei, una city bike. Era della mia coinquilina Caroline che l'aveva comprata per utilizzarla solo una volta, alla critical mass. In quel periodo c'era un gran parlare di bici biciclette ciclomotori ciclisti ciclomobilità ciclofficine cicli ricicli. Entravano in casa tra una tesi di architettura e due ragazzi spagnoli che facevano il giro del Mediterraneo in tandem. Caroline assorbiva tutto dalla sua stanza, e negli infusi di thè scioglieva le voglie e i pensieri, che sembrava non condividere ma invece realizzava all'improvviso, per esempio comprando una bici. Poco importava che non l'avrebbe quasi mai sfruttata, era il suo modo di dimostrare che c'era.
Non trovarla non le avrebbe cambiato la giornata, e io la montaì al volo. Si chiamava Montana ed era rossa. Pedalavo in discesa, cercando di sfruttare tutti i pezzi di pista ciclabile intatti nel percorso via antonelli piazza euclide villa glori auditorium ponte milvio Farnesina. Il rincontro mattutino con john malcovich e i pensieri legati a come sarebbe andata la giornata, mi spaventavano e eccitavano insieme. Succedeva ogni mattina ma il lunedì di più. La differenza del 20 giugno 2011 la fece Montana. Sembrava essere fatta per la gonna che indossavo, che trovava spazio nel quadro di una bici femminile, e permetteva alla mia schiena di adagiarsi senza piegarsi.
Era fatta per me, per le gonne, per i lunedì di rincontro, per l'estate.
Col tempo diventò un pò più da battaglia e dunque naturalmente mia. Caroline me la cedette senza parlarne.
Oggi l'ho parcheggiata distratta alla fermata della metro del policlinico. Era un giorno di pioggia, sfide, attesa. Via Regina Margherita era desolata ma il silenzio era pieno di interrogativi, e preannunciava l'arrivo di qualcosa. Chi avrebbe vinto le elezioni presidenziali in Francia ? E in Grecia ? E lo scudetto ?
Tre Paesi Mediterranei hanno votato, gli italiani hanno seguito gli exit poll da Parigi ad Atene, passando per Belgrado. Intorno alle 20:00, la vittoria di Francois Hollande era certa. I socialisti francesi festeggiano a Place de la Bastille il ritorno all'Eliseo. Cambiano le sorti dell'Europa Unita. A est del mare la maggior parte dei Greci ha votato in favore di chi è a lei avversa, in Serbia bisognerà aspettare il ballottaggio. Intanto, negli stadi Italiani si sono giocate due partite cruciali: Juve-Cagliari e Inter-Milan. La seconda determinante per le sorti della prima. Battendo il Milan, l'Inter ha assicurato alla Juve vittoria.
In una giornata del genere, c'era da aspettarselo. Tra juventini, interisti, milanisti, socialisti, greci, francesi, italiani, europeisti, sarkozisti, vincitori, vinti, celebranti, sofferenti, sicuramente qualcuno mi ha fregato la bici.
Addio, Montana. 
Roma, 6 maggio 2012. 

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